FOTOCOMPOSITAZIONE DI IMMAGINI
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L'enorme differenza di luminosità che riscontriamo fra gli oggetti del cielo ci crea
spesso molti problemi per poter effettuare con successo le nostre fotografie.
Molte galassie hanno un nucleo molto brillante ma i bracci esterni sono deboli
e si perdono nel fondocielo. Se l'esposizione è breve per non "bruciare" il nucleo non li rileveremo, nel caso opposto avremo il nucleo saturato mentre i bracci saranno rilevabili. Stesso discorso si può fare per molte nebulose che hanno zone di brillanza (magnitudine integrata per unità di superficie) elevata e zone di brillanza molto più bassa. Un esempio su tutte, per gli osservatori invernali, è la nebulosa di Orione, la famosa M42. Già con i primi scatti ci si rende conto come sia difficile riprendere contemporaneamente la zona centrale del "trapezio" e le "ali" intermedie, senza contare che vi sono nebulosità che arrivano fin oltre Iota Orionis a sud (nebulosa NGC 1980) e 42 Orionis (nebulosa NGC 1977 "The running man"). L'unica soluzione possibile è la compositazione di immagini a diversa esposizione. Il primo lavoro che deve fare un astrofotografo è di mettersi al tavolino e pianificare con accuratezza la serie di esposizioni da effettuare, cercando di informarsi con la massima precisione possibile sulle caratteristiche dell'oggetto, in base alle condizioni del cielo sotto cui opererà, alla strumentazione ottica e meccanica in suo possesso e alla strumentazione di ripresa e di guida. E' inutile programmare esposizioni di 20 minuti a F:4 con una digitale a 800 ISO se si riprende dal centro di una metropoli senza alcun filtro e magari con una EQ3.2. Avremo lavorato inutilmente. Per realizzare la mia fotografia di M42 che potete vedere qui avevo a disposizione un cielo che difficilmente scende sotto la mgnitudine 5,5 e che a volte supera abbondantemente la sesta, il mio telescopio Vixen R200SS con una focale di 800 mm a F:4 (precisa per riprendere in un solo scatto tutta la "spada" di Orione, evitando così anche il problema del mosaico; la mia montatura EQ& con lo Skysensor 2000 PC, robusta, affidabile, ma un po' sovraccaricata, l'ST4 per guidare con un telescopio da 500 mm di focale in parallelo e la Canon EOS300D modificata con filtro Baader per aumentare la resa nella parte bassa dello spettro. Questo setup mi garantiva riprese di una decina di minuti in assenza di vento (anche più lunghe ma il sensore della EOs avrebbe introdotto troppo rumore). Calcolai che potevo fare riprese di dieci minuti a F:4 con 400 ISO di sensibilità senza avere troppo rumore residuo e arrivando a cogliere tutte le nebulosità presenti in quella zona di cielo. A questo punto si trattava di decidere quante foto scattare e quali esposizioni effettuare per avere le componenti più luminose della nebulosa esposte correttamente. Sulla base della mia esperienza personale e di alcune prove ho optato per queste esposizioni (in considerazione del fatto che la luminosità della parte centrale varia moltissimo in una zona ristretta): a) 5 secondi a 100 ISO b) 10 secondi a 100 ISO c) 20 secondi a 100 ISO d) 20 secondi a 200 ISO e) 20 secondi a 400 ISO f) 40 secondi a 400 ISO g) 120 secondi a 400 ISO h) 240 secondi a 400 ISO i) 600 secondi a 400 ISO Come si può vedere l'esposizione dell'ultima ripresa sarebbe stata 480 volte più lunga della prima, in considerazione del maggior guadagno in ISO. Altro fattore da tenere presente: le esposizioni multiple. Il singolo scatto è sempre affetto da un certo rumore dovuto all'elettronica della macchina fotografica, a possibili raggi cosmici, a un'interferenza dovuta al passaggio di un satellite o di un aereo. Inoltre per elaborare al meglio il rapporto segnale rumore deve essere il migliore possibile. Si rendeva necessario perciò programmare non singoli scatti ma serie intere di fotografie per ogni tipo di esposizione. Le prime sequenza, quelle più brevi, non richiedono particolari accorgimenti in quanto il rischio di mosso, il rumore elettronico, i rischi di interferenze esterne, sono molto ridotti. Inoltre non costa una perdita di molto tempo per cui anche qualche posa non perfettamente riuscita può tranquillamente essere messa in conto. L'importante, come deve essere fatto per qualsiasi altra fotografia, è investire il tempo necessario per una messa a fuoco la più accurata possibile. Se non siamo convinti si ricomincia daccapo. Diverso è il caso per le pose più lunghe, quelle da 40 secondi in più. In questo caso deve essere curata anche l'esatta messa in postazione della montatura, la guida, la presenza o meno di fonti di illuminazione come la Luna (oltre all'inquinamento luminoso umano. |
Non potendo fare queste riprese da casa ma solo dalla
montagna ho dovuto aspettare i periodi nei quali la Luna fosse favorevole
(intorno alla Luna nuova) e sperare nel meteo, cosa difficile nel mese di
novembre. Il mio programma prevedeva almeno 20 pose per ogni serie da 40 secondi in sù in modo da migliorare di un fattore maggiore di 4 il rapporto segnale/rumore. Infatti questo rapporto si incrementa in funzione della radice quadrata delle pose sommate. Purtroppo il meteo particolarmente sfavorevole non mi ha aiutato: umidità molto elevata, nuvole che spesso si soffermavano nella zona di Orione, vento presente con raffiche non intense ma comunque fastidiose. Tutto ciò mi ha costretto a suddividere le riprese in tre serate. Ho dovuto perciò curare ogni sera il riallineamento del campo inquadrato. E non ho potuto avere a disposizione tutte le sequenze come programmato ma il materiale c'era lo stesso per poter lavorare. |
Per prima cosa ho convertito le immagini (riprese
tassativamente in raw) in tiff a 16 bit mediante Photoshop CS2 che ha una
funzione di conversione. Ho regolato il bilanciamento dei colori in modo che le
tre curve che apparivano sull'istogramma fossero più o meno coincidenti,
aumentando leggermente il gamma, se necessario e disinserendo tutte le altre
correzioni. A questo punto le varie serie sono state allineate e mediate fra loro (io ho usato il programma Registar della Auriga Imaging). Ho avuto così a disposizione 9 immagini che erano il risultato delle varie sequenze programmate. A ogni sequenza ho dato prima una lettera dell'alfabeto come distinzione e in seguito mi riferirò sempre con queste lettere dell'alfabeto per riferirmi all'immagine risultante da quella sequenza. |
Per prima cosa ho caricato con Photoshop l'immagine i),
quella con la maggiore esposizione. Come si vede già nell'immagine grezza il nucleo è completamente bianco e non è possibile rilevare alcun dettaglio. A questo punto ho caricato l'immagine h), da 240 secondi, e con lo strumento "lasso" ho ritagliato una porzione dando una sfumatura molto ampia (almeno 45 pixel) A questo punto è bastato fare un copia e incolla dalla porzione di immagine ritagliata sopra l'immagine i) e mettere a registro le due immagini. Per fare ciò ho ridotto l'opacità al 50% e poi ho spostato il layer incollato fino a quando le stelle non combaciavano. A questo punto ho riportato al 100% l'opacità e, usando le curve e i livelli, ho bilanciato il layer in modo che non si notasse la fusione fra le due immagini. Il cambiamento dovuto a questo primo passaggio si può notare in questa immagine: |
Una volta capito questo primo passaggio e messo a punto la tecnica i passaggi successivi diventano quasi un divertimento. L'unica cosa da tenere presente è che man mano che si riduce la zona che viene ritagliata dobbiamo ridurre anche la sfumatura della selezione con il problema che dovremo lavorare sempre più di precisione con le curve e i livelli per regolare i vari layers in modo da non notare il punto di giunzione. |
A questo punto basta semplicemente ridurre i vari layers a un unico livello e
processare l'immagine così ottenuta. Con un po' di pazienza e con l'uso della regolazione dei livelli, dei vari filtri come maschere sfocate, passa basso e altri è possibile ottenere un risultato finale piacevole e che permette di vedere tutte le varie parti della nebulosa. |
Queste righe non sono l'unico metodo per compositare immagini con livelli di segnale così diversi ma è solo uno fra i tanti. E' solo il metodo che uso io ma che non ho inventato. E' stato lo scambio di informazioni con altri astrofotografi che mi ha portato ad affinarlo, secondo le mie personali esigenze. |
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